ALTRE INFORMAZIONI
- ISBN: 9788856684261
- Edito: Edizioni Piemme
- Collana: THRILLER STR
- Formato: Rilegato
- Pagine Arabe: 350
- Traduttore: Ingiardi C.
Il processo traduttivo è un
po’ come la ricetta della crostata: ne esistono infinite varianti ma ognuno ha
la sua, la custodisce gelosamente e la considera la migliore al mondo. Nel mio
caso specifico, lascio che sia il testo che ho davanti a dettare l’approccio
traduttivo di volta in volta. La teoria di solito vorrebbe che un libro venga
letto per intero prima di tradurlo: e sebbene nel caso di Victories Greater
than Death sia andata così – per forza di cose, visto il genere – in altri casi
mi piace buttare giù una prima bozza “di pancia”, man mano che vado avanti
nella lettura, immergendomi nel testo e lasciandomi stupire dagli intrecci
della trama come farebbe un lettore qualunque. Ad ogni modo, qualsiasi
approccio io scelga, resta sempre fondamentale la fase di revisione: l’ideale,
una volta finito di tradurre tutto quanto, è lasciare riposare il testo per
qualche tempo e andarlo a ripescare dopo un po’, per lavorarlo al meglio.
Proprio come un panetto di pasta frolla.
Hai proprio ragione, non è
stato un libro semplice da tradurre. Tanto per cominciare, Victories Greater
than Death presenta tutte le criticità tipiche del genere fantasy e
fantascientifico: alla base della storia esistono mondi, realtà, creature,
oggetti, dinamiche e luoghi inventati – talvolta resi con nomi interamente di
fantasia, senza particolari allusioni (ad esempio i nomi di certi popoli) ma più
spesso frutto di giochi di parole ideati dall’autrice sulla base della propria lingua.
Per tradurre questi “nomi parlanti”, come vengono definiti in gergo, serve quindi
innanzitutto una padronanza completa della lingua da cui si traduce – perché
bisogna essere in grado di cogliere ogni sfumatura e ogni gioco di parole; poi serve
orecchio per il ritmo della narrazione, cosa che sembra scontata ma non lo è, e
per finire direi che ci vuole anche una buona dose di fantasia e di creatività nel
maneggiare la propria, di lingua.
Come ben sappiamo, però, nel
caso di Victories Greater than Death le sfide non finivano lì: l’importanza
centrale riservata in tutto il libro alle tematiche di genere ha posto una
sfida non indifferente in fase di traduzione, visto che in Italia (e in
italiano) la questione della scrittura inclusiva è ancora molto dibattuta. Ci
sono molte proposte, molte opzioni, molti approcci… però purtroppo ad oggi non esiste
un quadro normativo comunemente riconosciuto e accettato, e pertanto è stato
necessario affrontare la questione in maniera diversa. Tra l’altro non bisogna sottovalutare
il fatto che l’inglese, per sua natura, è molto più avvantaggiato in termini di
linguaggio inclusivo rispetto all’italiano: mentre in inglese il problema
principale è la scelta dei pronomi corretti – e quindi “basta” fare ricorso a
pronomi gender-neutral – in italiano, invece, purtroppo, siamo molto più
vincolati (dal punto di vista strettamente linguistico) da tutto ciò che sono
articoli, sostantivi, aggettivi e participi passati. Le desinenze che indicano
il genere, insomma. Il risultato? Per i personaggi non binari ho scelto di
optare per riformulazioni che permettessero di evitare l’uso di
articoli, pronomi, sostantivi e aggettivi che ne esplicitassero il genere.
4.Quanto è durato il processo di traduzione di Victories greater than death?
Non saprei quantificarlo con
esattezza; però direi che al netto, fra traduzione e revisione, ci sono voluti circa
tre mesetti. Comunque ho continuato ad apportare piccole modifiche fino al
giorno stesso in cui ho consegnato.
Non direttamente. In fase di
revisione è emerso un dubbio da parte della CE sulla possibile traduzione di
una categoria di creature (accennata in modo generico solo un paio di volte in
tutto il libro), e a quel punto abbiamo convenuto che sarebbe stato meglio
chiedere chiarimenti direttamente all’autrice, in modo da poter scegliere la
soluzione più opportuna. Trattandosi di una serie, per di più fantasy, la prudenza
nel tradurre non è mai troppa!
Yatto, a mani basse. La sua perenne gentilezza, sensibilità, intelligenza e nobiltà d’animo sono impareggiabili!
È difficilissimo parlare di
“errori” in una traduzione. Quello che io tradurrei in un modo, altri cento
traduttori probabilmente lo tradurrebbero in cento modi diversi. Al di là di ciò
che poi ricade nella sfera delle preferenze e/o idiosincrasie linguistiche
personali, certo, può capitare di imbattersi in errori più o meno gravi. Tra i
peggiori ci sono sicuramente quelli di senso, siano essi dovuti a una lettura
superficiale o a una conoscenza non perfetta della lingua da cui si traduce. Ma
vuol dire che esistono errori meno gravi? Vuol dire che se altero completamente
il registro o altre peculiarità espressive di un personaggio – perché non le colgo
o perché non le so rendere, se costruisco frasi macchinose perché non riesco a
emanciparmi dai vincoli e dagli schemi (anche culturali) della lingua di
partenza, se non mi rendo conto di aver utilizzato un calco, se non mi accorgo
di aver confuso il nome di un personaggio, se mi sfugge qualche refuso… sono
forse errori meno gravi? Forse sì, forse no. Sono sicura che molti miei colleghi
non condivideranno la mia stessa opinione. D’altronde, errare è umano e qualche
svista può capitare a chiunque. Ma per me – e ci tengo a sottolineare per me,
visto che sono consapevole di essere una gran pigno… ahem, perfezionista – è da
considerarsi grave qualsiasi errore di cui un lettore/una lettrice si
accorgerebbe e che gli/le farebbe storcere il naso. Leggere è una magia e qualsiasi
cosa spezzi l’incantesimo, secondo me, rappresenta inevitabilmente un problema.
Il fatto di leggere molto
“per lavoro” purtroppo mi lascia meno tempo a disposizione per dedicarmi ai
miei generi d’elezione. Sono una grande amante dei classici, ma a parte Jane
Austen, Oscar Wilde e Emily Brontë parteggio più per i grandi scrittori americani
del Novecento. L’età dell’innocenza di Edith Wharton ha un posto speciale nel
mio cuore, proprio accanto a Orgoglio e Pregiudizio. Tra i francesi, almeno per
quanto riguarda la narrativa, amo Flaubert. Mi piacciono moltissimo i romanzi
storici, ma direi che i libri in cui mi rifugio più spesso sono quelli di
poesie.
Domanda difficile per un
semplice motivo: ovvero, che la scelta del titolo non è quasi mai appannaggio
del traduttore. Se ne occupa di più la redazione, magari di concerto con il
reparto marketing. Al traduttore tutt’al più viene richiesto un input, un
suggerimento. Però posso dirvi che al momento sto lavorando alla traduzione di
un altro young adult – sempre per Fanucci, stavolta di genere crime – e che giusto
qualche giorno fa è uscito per Newton Compton Editori “Il cottage degli amori
segreti”, un romance natalizio pronto a scaldarvi il cuore in attesa delle
feste!
Grazie a voi, mi avete fatta
sentire una star! ✨🥰
Alla prossima!
Ciao Lettor3,
oggi finalmente termina il mio silenzio stampa perchè, finalmente, posso parlarvi di Hell Bent di Leigh Bardugo edito Mondadori, attesissimo seguito della Nona Casa.
Quest'ultimo è un libro che io ho amato moltissimo è stata per me una delle letture più belle del 2022, ero contenta e al contempo terrorizzata di poter leggere il secondo libro di questa saga, perchè temevo in un fall down della narrazione, così come accade sempre a molti autori. Ma a Bardugo no.
Sono rimasta meravigliata positivamente del modo in cui ha saputo tirare le fila della storia senza mai lasciare trasparire le sue vere intenzioni. Tutto inizia in un modo, prosegue ingannando gli occhi de* lettor3, perchè tutte le congetture fatte fino a metà libro, nell'ultima parte vengono ribaltate in maniera scioccante, ma coerente con tutto il resto.
Ora vi lascio la trama de La nona casa ed anche di Hell Bent, così che possiate farvi un'idea anche se non avete ancora letto il primo libro vi anticipo che nel mio commento non troverete alcun tipo di spoiler, ma solo tanto tanto entusiasmo: